E’ più facile elencare tutte le gradazioni del colore verde che le definizioni di leadership. Partendo dal significato letterale di “capacità di condurre”, scegliete voi come definire la leadership, noi ci limitiamo a riportare i differenti stili, dal vecchio concetto di leadership come “carisma” (Max Weber 1919) criticato da molti tra cui Thomas Chamorro-Premuzic (che sosteneva che la ricerca di un capo-branco è una fascinazione antropologica per nulla garante di una buona conduzione del business) ai diversi stili che vennero identificati dagli anni ’60 in poi. Passeremo per gli stili che Goleman* riassunse nel 2000 (più qualche new entry ed i concetti più moderni) per ricordare che ogni stile (anche il più antipatico), in determinate situazioni, può funzionare meglio di altri.
TANTE EPOCHE TANTI LEADER
Dagli anni ’60 in poi la leadership è diventata un attento oggetto di studio, in estrema sintesi possiamo elencare
- la leadership tradizionale (E.Hollander)
- la leadership situazionale (P.Hersey K. Blanchard)
- la leadership generativa (R. Dilts)
- la leadership trasfromazionale (J.V.Downton)
- la “servant” leadership (Robert K. Greenlaf 1970)
- la Exémplary Leadership (James Kouzes and Barry Posner) gli autori di questo interessante studio hanno analizzato migliaia di casi di successo, di leader che hanno creato qualcosa di grande nelle organizzazioni in cu si sono trovati e hanno identificato i tratti comuni nell’agire di questi personaggi realizzando un LDI (leadership practices inventory) del modo in cui questi grandi personaggi del business hanno lavorato per potenziare le persone intorno a loro.
Secondo Goleman, esistono 6 principali stili di leadership:
– il Leader visionario: condivide con i dipendenti la Mission e la Vision, l’Obiettivo Finale, e crea in azienda un clima particolarmente positivo. Questo stile aiuta e sprona il team quando l’azienda attraversa un momento di cambiamento.
– il Leader coach: crea una connessione fra la Mission aziendale e i bisogni e valori del singolo lavoratore. Questo stile valorizza lo staff e rinforza le prestazioni eccellenti, in termine di quantità e qualità dei comportamenti.
– il Leader democratico: valorizza ogni dipendente, ne cerca l’appoggio o il consiglio prima di prendere decisioni, e crea un ambiente partecipativo, che responsabilizza e valorizza ogni singolo membro del team. Questo stile è utile al clima lavorativo, aumenta la produttività, e permette al Leader di ottenere buoni feedback. “Mentore saggio”.
– il Leader sociale o affiliativo: il suo obbiettivo è creare armonia nel team e nei rapporti. La relazione è al centro. Questo approccio è utile a creare un team coeso e compatto.
– il Leader battistrada: è un precursore, colui che traina il gruppo ed è focalizzato all’obbiettivo. Il leader può essere visto come “inarrivabile”, eccessivamente determinato e poco empatico. Se questo approccio è estremo nel leader, incute ansia nei dipendenti. Questo stile è ottimo se ci si affaccia su nuovi mercati, ma se costante, mina l’essenza del team working.
– il Leader autoritario: è persona che preferisce farsi rispettare che farsi ammirare dallo staff. Impone la Vision, in modo esplicito o implicito crea sensibili asimmetrie nelle relazioni, non accetta repliche. Motiva il personale in modo coercitivo (“non accetto fallimenti, altrimenti…”), crea un clima aziendale teso nel quale i singoli difficilmente si prendono responsabilità, per paura di deludere il leader. Il leader viene seguito per evitare eventuali punizioni. Fintanto che è presente (nella stanza, in azienda), il team esegue ogni regola da lei/lui imposta, ma in sua assenza questo non è garantito, e anzi è fonte di forte critica: l’eccesivo uso di rigide regole, ottiene l’effetto contrario, e crea nel team un malcelato “desiderio di evasione e trasgressione”. Questo stile è consigliato solo in casi di emergenza e crisi finanziaria.
Un buon leader deve essere in grado di adottare ognuno di questi stili, e applicarli in modo elastico, mai rigido e unimodale, cercando di limitare, in termini di tempo e uso, gli stili “battistrada” e “autoritario” e la gestione dei collaboratori “lassaiz faire” (ovvero che rimandano impegni e responsabilità), perché altrimenti davvero poco efficaci: il Leader efficace è connotato da Intelligenza Emotiva, per cui sa comprendere e gestire le emozioni, in sé e nell’altro, e sa approcciarsi all’altro con la giusta dose di empatia e serietà.
Un buon Leader è quello che viene seguito dal team, in modo spontaneo, armonico, sincero.
- Goleman, D. (2000). Leadership that gets results. Harvard business review,78(2), 78-93.
Chi è arrivato a leggere fino a qui avrà capito che l’idea del leader carismatico, quello che cambia il clima quando entra in una stanza, quello che infiamma gli animi, quello che “era già un leader da bambino” quindi è dotato di un talento innato, che non si può apprendere, non è il concetto che interessa a noi. “Leader di nasce”? si, quel tipo di leader ha caratteristiche innate, ha quella sorta di magico carisma, ma concordiamo con Tomas Chamorro-Premuzic che nel suo dirompente testo “Perché tanti uomini incompetenti diventano leader” (2019) mette bene in luce come tendiamo ad essere affascinati dal carisma del leader-eroe senza renderci conto che l’eroe non può portare avanti bene un business per decenni.
Già Gregory Bateson (1972) ha dimostrato che qualunque qualità è espressione di una relazione tra un soggetto e certi altri soggetti (gruppi) in un contesto specifico. Ovvero la QUALITA’ emerge dal processo e non dall’individuo, non da tratti di personalità (come il carisma) ma da circolarità di motivazioni.
In questo scenario la leadership si configura come una proprietà emergente di un sistema relazionale (rete) con la funzione generale di creare le condizioni perché il team possa esprimere il massimo del suo potenziale.
Quindi sviluppare la leadership non significa insegnare ad essere carismatici, ma trasferire consapevolezza e competenza per co-costruire e co-allineare il processo tra individui differenti.
Si arriva così alla Open Leadership http://www.openleadership.it/ un leader che in sostanza abdica alla funzione di controllo fino al Freedom Management teorizzato da Luca Solari in cui il Manager “è qualcuno che va in giro a scoprire le cose che accadono dentro, fuori e attorno alle organizzazioni e a distruggere all’interno delle organizzazioni le barriere autoinflitte che impediscono che l’innovazione accada”
Un altro punto interessante riguarda lo stile di leadership più efficace per governare lo scenario VUCA che caratterizza il mondo attuale. E per questo rimandiamo allo studio di Bob Johansen sul leader che sa trovare gli antidoti per le incertezze che contraddistinguono i giorni nostri.